Scena Seconda
Cartagine.
Stanza da letto di Didone. Medesima notte.
(Entrano Didone, con
in pugno la spada, e Carneade. La Regina posa larma nei pressi del
letto. Poi siede su di esso, pensierosa,
sfiorando
le bianche coperte con le mani)
Carneade: «La
fatale decisione è già stata
presa, irrevocabile.
Nella
volontà oscurata, così come nelle
chiare conseguenze.
Ed
il momento è ora propizio.
La
fredda notte29 ed il triste letto portano
il miglior complice: la solitudine.
E
lo strumento è lì, pronto alluso.
Lultimo
baluardo, il Capitano Cadmo, monta invano la
guardia.
E
lultimo alleato, il marito Sicheo, invano
ha cercato di apparir alla sua sposa, dissipato
dallinsonnia di lei.
Giacché solo
in sogno può raggiungerla, per consolarla
e portarle presagio di pericolo.
Così come
fece in quel di Tiro, per metterla in guardia
dallinfame fratello, cognato e assassino
suo. Pigmalione è linfame nome.
Perciò il
complotto del Fato è accanito; e non
prevede vie di fuga per la predestinata Didone.
Ecco
dunque la Regina che torna ad impugnare il
funesto dono di Enea: lo fissa col proprio
sguardo e lo getta sul proprio letto.
Scorre
con gli occhi, in tutta la sua lunghezza,
la spada troiana che sempre più brama immergere
tutta nel grembo deluso30.
Ed
or si lascia cader fianco ad essa.
Didone è distesa
sul proprio giaciglio. Stringe per lultima
volta larma di Enea e la dispone allo
scopo.
Già laffilata
lama ha saggiato le sue morbide membra, ed
il rosso sangue ha bagnato il bianco letto.
Nessun
ritegno la scuote, perché la fatale
decisione è già stata presa,
irrevocabile.
Nella
volontà oscurata, così come nelle
chiare conseguenze.
Ed
ecco giungere il final passo: anche la mano
sinistra s affanna a spingere, avvinta
alla destra, il gelido ferro nelle calde viscere!».
(Didone
impugna la spada con entrambe le mani e si
appresta a spingerla verso sé stessa.
A questo punto, prorompe in scena Cadmo, che
ferma la mano destra della Regina)
Carneade: «Ma
or che vedo?
Una
smagliatura nei punti del Fato?
Che
sia leggerezza, lassismo, o bizzarria, piuttosto
che smagliatura del Fato medesimo, invero non
so dire.
Ma
posso dire, perché la vedo, che la morsa
importuna ed insuperabile di Cadmo si è stretta
intorno al braccio di lei.
E perciò che
larto assassino si intorpidisce e la
spada di Enea si fa ancor più pesante.
Ché questo,
e nullaltro che questo, percepisce la
sconvolta mente di Didone!
Ed
anzi il furor funesto della Regina ne rimane
sdegnato.
Eccola
avventarsi allora come una Furia contro il
ferro del Teucro, per portar a compimento la
sua irrevocabile decisione.
Ma
già questo la fugge, sradicato dalla
sue mani folli, ed ammaestrato da quelle del
Capitano delle Guardie.
(Carneade
si avvicina a Didone)
Meschina
Dido, tu che ti senti rifiutata persino dalla
morte.
Meschina
Dido, tu le cui lacrime annacquano il medesimo
sangue, frutto maligno di mente annacquata.
Meschina
Dido, tu che errabondi disperata come nel peggior
incubo, ma che pur sei conscia desser
desta, tu
dimenati pure sul tuo giaciglio.
Meschina
Dido, tu la cui vergogna per linsensato
gesto, ancor tarda a vincere questansia
inesauribile di morte.
I
tuoi occhi ancor cercano la spada del tuo effimero
amante.
Ma
han trovato quelli severi del tuo Capitano.
Essi
ti guardano senza compassione. Aspri.
Cadmo
aspetta.
Aspetta
che i tuoi occhi si faccian tristi.
Umanamente
tristi e vieppiù tristi.
Gravidi
di umana, immensa disperazione.
Eppur
vitale disperazione.
Egli
aspetta che voli via dai tuoi occhi, la Furia31 che li sconvolge».
(Cadmo
si avvicina al letto e conficca con rabbia
nel pavimento la punta della spada di Enea,
a breve distanza dal volto di Didone. Larma è così lunga
che lelsa sovrasta il capo della Regina)
Cadmo: «Per
quanto grande possa essere la vostra ferita,
mai potrà esser più grande di
voi stessa.
Della
grande Regina che ho amato in silenzio per
molto tempo.
(Indietreggia.
E parla fra sé)
Or
ti lascio sola coi tuoi pensieri.
E
ti faccio intendere che più non timportunerò.
Perché è alla
tua pazzia che mi rivolgo.
Ma
or cosa vedono i miei stanchi occhi che più il
giusto sonno non conoscono?
Invero
la fulgida veste della mia Regina è macchiata
del suo prezioso sangue, e così pure
la bianca lana del suo letto?
Così ansiosa
la sua vita di abbandonarla?
Così lesto
il suo sangue a lasciarla?
Eppur
io son certo daver fermato le sue mani
assassine prima del fatal colpo!
Così ostinato
il destino?
Oppur,
meschino, minganno?
Ché il
riposo ho sottratto a lungo alle mie membra,
per vegliar sulla mia Regina.
Ed
or più di nulla sono certo.
Né più distinguo
un colpo mortale da uno di scherno, né piaga
profonda da taglio di superficie. Eppure a
cosa è utile fermare lemorragia
del corpo, se prima non sè fermata
lemorragia dello spirito?
Ma
se non sè fermata la prima, come
si potrà poi fermare la seconda?
E
tu, Cadmo, che fai?
Anteponi
favelle ad azioni?
No, io non sto fermo e vengo ad aiutarti, Regina».
(Si avvicina)
Didone: «Come
osi entrare
nelle mie stanze?
Come
osi fermare la mia mano?
Come
osi parlarmi damore?
(Si
volta, ma si fa ascoltare)
Come
vorrei che luomo che mi ha or privato
della spada, fosse lo stesso che me laveva
concessa!
Ed
invece tu parti, infido Troiano, e lasci
Didone impotente perfino a morire ».
Cadmo
(fra sé): «Il tuo sangue ancor
ti conserva impetuosa, ché non parleresti
così sciolta con piaga mortale aperta
nel petto.
Sol
questo minteressa conoscere, adesso.
Delle
tue virtù, ora insospettabili a dirsi,
sono ben informato, e della precarietà della
tua follia, io mi reputo certo.
Ché mi
rammenta la scomparsa del sole, quando esso è alto
nel cielo e questo è lindo da nubi32.
Ché la
tua mente tormentata non cerca che il giusto
sonno che le manca da troppo tempo».
Carneade: «Sconsiderata,
meschina Dido.
Tu
piangi sulla tua fortuna. E sorridi alle
tue disgrazie.
E
tu, Cadmo, sopporta la tua scelta, o
lascia che il Fato segua i propri disegni.
Ma
non dimenticare che il tempo si presenta
con volti diversi,
secondo il caso: esso può essere lamico più caro come il nemico più infido.
E qui viene con la migliore delle sue facce. Il
veleno dellira funesta scorre dal cuore in direzione della
ferita, in senso contrario al veleno del serpente.
Qui
il tempo non è nemico, ma alleato.
Già scorgo
una smorfia di vil dolore sul volto della Regina.
Ed una delle sue mani scivola ora sotto il corpo per raggiunger la ferita aperta in grembo. La
comoda morfina dellansia di morte sta dunque per svanire.
Come
ti sentirai ora, Regina? ».
(Didone guarda
incredula la sua mano che gronda sangue)
Didone
(fra sé): «A chi appartiene tal sangue?
E
perché è stato versato?
"Per quanto grande possa essere la tua ferita, non potrà mai esser più grande
di te.
Della
grande Regina che ho amato in silenzio
per molto tempo".
Chi è colui che ancor ha pietà di
me?
(Si guarda intorno
e si accorge della presenza di Cadmo, che freme per aiutarla)
Insperata
Fortuna o estrema malasorte, sei tu, per la tua Regina, Capitano?
Che
risposta avrò dato alle tue generose parole?
Io non la ricordo. Ma ne conservo ancora
il sapore acre sulle labbra.
Me meschina!
Ferir
me stessa, io lapprovo, ma che nessun vada contro il mio
fedele Capitano!
Me
meschina compresa
Se
io la mia vita ho in odio, quale
merce avariata di cui ho fretta di
sbarazzarmi senza più nulla
chieder per essa, eppur questa merce
odiosa ancor qualcuno
si ostina a preservare.
(Rivolta a
Cadmo, allunga la sua mano sporca
di sangue)
Aiutami,
Cadmo, e perdonami
».
Carneade: «Scatta
fulmineo il Capitano.
A cercar la mano della sua Regina.
E la stringe forte.
Lei
deve sentir che non è più sola, adesso.
Il cuor di lui acceso.
Lanimo
orgoglioso della recente impresa.
Più insidiosa della missione più infida.
La mente adirata per la sventura
abbattutasi.
Il corpo sfinito per i lunghi
turni di guardia.
Si prodiga, ma non parla, il
Capitano.
Interessato solo alla ferita
di lei.
Ma
la piaga, quella di spada, è superficiale.
Strappa i raffinati lenzuoli
di lino e ne fa oneste bende.
Lava il sangue dalle nobili mani
e le lacrime dal volto regale.
Chiama
la Guardia più fidata e fa portare lenzuoli novelli, erbe
mediche e frutta fresca.
Lascia
la sua Regina sotto la lana
delle coperte, afferra la spada
di Enea ed i lenzuoli macchiati,
e svanisce nellombra da cui è uscito,
senza profferir parola.
(Cadmo
esce. Ma solo apparentemente.
In realtà entra in una zona dombra
della scena)
Egli lascia a
Didone il tempo per capire.
E la Regina, triste ed infelice,
comincia a comprendere.
Nella
quiete della tarda notte,
comprende ciò che la sua mente
aveva complottato contro di lei.
E guarda con disprezzo
le proprie mani.
Pur odiando ancora la
propria vita.
Fino
al momento in cui il
sonno grava infine le
sue membra, concedendo riposo alla
tormentata mente ».
(Carneade esce)
Scena Terza
Cartagine. Stanza
da letto di Didone. Allo spirar della medesima notte.
(Didone,
rimasta in
scena, dorme, coricata nel proprio
letto. Cadmo è pure
già presente
sulla scena,
nonostante la
precedente apparente
uscita; egli
ricompare dallombra
con gioco di
luci; è in
dormiveglia,
in terra, nascosto
nei pressi del
letto di Didone.
Alle prime luci
dellalba,
entra un assassino
senza volto,
dai lunghi capelli
biondi, armato
di pugnale, e
si avvicina furtivo
alla Regina,
non visto da
Cadmo. Quandegli
le è abbastanza
vicino, le si
avventa contro
per sferrare
un colpo mortale.
A tal punto,
Didone si sveglia
di soprassalto;
lassassino
si fa amorfo
ed esce. Didone,
allarmata,
chiama istintivamente
Cadmo, pur
senza vederlo)
Didone: «Cadmo
Cadmo!
(Cadmo si sveglia
del tutto, e si avvicina)
Cadmo,
sei tu sogno o realtà? Sei tu verità dello spirito
o verità della
materia?
Capitano delle mie Guardie, chi vuole
uccidermi?
(Cadmo indugia,
perplesso)
Son tornata a sognare,
Cadmo.
Cera un assassino nascosto nellombra che stava per uccidermi
».
Cadmo: «Mia
Regina, dove vi trovavate?».
Didone: «Ero
qui, nella mia stanza da letto».
Cadmo: «Che
aspetto aveva lassassino?».
Didone: «Il
volto era indistinto, ma ricordo bene i suoi lunghi capelli biondi».
(Cadmo sfiora i
capelli di Didone)
Cadmo: «Lunghi
e biondi come questi,
mia Regina?
(Didone schiaccia
il volto sul guanciale. Cadmo
si mette in ginocchio, con il capo abbassato)
Or che siete desta,
vi esorto a perdonare
il vostro Capitano, mia Regina.
Ed in specie, la sua
lingua oltraggiosa.
Oltre
a questo, son qui
a chiedervi una grazia».
(Didone
si volta verso
la luce della finestra, fuggendo la vista
di Cadmo)
Didone: «Non
ti comprendo, Cadmo.
Ma
se tieni alla
vita mia, conserva
la tua, perché tu sei lultimo lembo di terra su cui mi è concesso
trovar rifugio».
(Entra Carneade)
Carneade: «Luno guarda in basso, traboccante damore,
per render
salde le sue parole.
Laltra guarda in alto, incapace di ricambiare, per non ferir, col suo sguardo inerte, luomo
che la ama.
Sol questo
ho da dire
ora.
Ma
non è poco».
(Carneade esce)
Cadmo: «Sono
molto stanco,
mia Regina.
Quello
che vi
chiedo è la vostra
parola che mai più tenterete
labominio di spegnere
la vostra luce, prima che
lultimo tempo sia giunto».
Didone: «Che
vale più la
mia
parola, Cadmo?».
Cadmo: «Or
son
io che non vi comprendo, mia Regina.
Mai
la
vostra
parola è venuta meno; e perciò la chiedo».
Didone: «Tu
sai che ho mancato a quella più sacra
fra tutte: quella data al mio sposo».
Cadmo: «Su
tal materia non oso dire, perché essa
appartiene a voi due soli.
Ma
per certo conosco
che per amar core puro
foste
fatta.
E
che a
portar fresca vita,
e non fetida morte,
il vostro
grembo prezioso è destinato.
La
parola della
Regina di
Cartagine è così ancor più certa
di quelle incise sul marmo dei nostri templi
e palazzi, per mano dei nostri abili scultori.
Perciò torno a chiederla prima che le mie stanche membra trovino
riposo».
Didone: «Io la mia vita meschina tengo in
odio, ma questa non mappartiene più, giacché ora è tua,
Cadmo.
Tu
hai acquistato tale
merce
avariata.
E
quando vorrai
finalmente lasciarla
ai
corvi e agli sciacalli,
Didone se ne
rallegrerà.
Nel
frattempo, io,
Ombra,
priva
di ombra
propria, seguo
la
tua
come fosse il
mio stesso
corpo.
I
miei passi
neppur lascian orme
dietro
te, ma rendon le
tue
vieppiù profonde, ché di me sei carico ora».
Cadmo: «Allora
io custodisco tale merce preziosa e la difendo con la spada e la
vita.
Dai
corvi e dal Fato
ostile; dalle belve
e dagli uomini;
da ladri
e da mercimoni.
Ma
non posso difenderla
da
voi stessa.
Così sappiate
che me avete
colpito, stanotte.
A
tradimento.
Alla
schiena.
Sullaltare33 della mia fedeltà.
Come
Pigmalione colpì vostro marito».
(Didone
si mostra
offesa e pentita
al
contempo)
Perché questo
dovete conoscere.
Son
stanco e parlo
senza
freno.
Ma è questo
che dovete conoscere.
Perché ora
io non
».
(Cadmo
stremato,
si
accascia
a
terra. Didone
si alza
dal letto e cerca
invano
di rianimarlo.
La sua
ferita torna
a sanguinare.
La Regina
vaga per
la
stanza
e
quando si avvicina
alla finestra,
scorge le
vele
troiane
che
già tengono il largo. Entra Enea e dalla sua imbarcazione
guarda verso la Reggia; poi si volta verso il mare aperto
e la Trinacria, dovè diretto. Didone si getta
a terra, guardando verso lalto)
Didone: «Oh
Fato impietoso!
Che
mhai tenuto in vita per torturarmi.
E
per
render
la mia
follia
permanente
(Didone
si rivolge
verso Enea,
che rimane
di spalle.
Cadmo rinviene,
ma rimane
stordito a
terra.
Didone non
può vederlo perché tra i due è frapposto
il letto)
Enea,
amor
mio,
e luce
Hai
già sciolto le tue vele al vento, sì bramoso di lasciarmi, da sfidar gli scogli senza laiuto
di Febo34.
Così,
alla
stregua
di rovinoso
scoglio,
tu, Enea
mio,
mi
consideri
Che
dico
peggior
insidia di acuminati
scogli e torbidi
flutti, tu mi
stimi!
Me
che ti
ho
dato tutto;
la Casa
il
Regno
e
lAmore; e che tutto ancor tavrei
dato.
Il
mio
grembo,
che
ora
versa
sangue
impuro,
i frutti del mio
amore
e dei
tuoi
istinti,
tavrebbe
dedicato.
Eppur
parti
furtivo
come
il
ladro,
e
sollecito
come
il
condannato,
spinto
dallangoscia di lasciarmi presto e subito, ma indifferente allangoscia
per
il
destino
che
sai
di
lasciarmi.
Temi
la
mia
vendetta
ma
non
pensi
che
essa
si
abbatterà su
me
stessa.
So
bene
che
il
mio
amor
non
posso
importi,
Enea
mio.
Ma
neppur
una
tua
dolce
parola,
io
meritai
da
te?
Che
il
mio
cuore
avrebbe
serbato
preziosa.
E
medicina
amara
per
il
mio
spirito
ritorto sarebbe
stata.
E
lavrebbe
infin
lenito.
Io
so
bene
che
il
mio
amor
non
posso
importi
».
(Entra Busenello)
Busenello35:
«A
meriti, a ragion non bada amore:
Egli è Dio,
fa a suo modo e non conchiude
Con
argomenti umani ».
(Busenello esce)
Didone: « Ma perché tu
lo ripaghi col tuo disdegno?
Imputi
la tua scelta al Fato, ma è questo che ti ha imposto di chiudermi
il tuo cuore, quale fossi la tua peggior nemica?
Ché, anzi, uomo nobile pur con i vinti, hai raccontato desser
stato.
Il mio cuor palpita ancor per te, Enea.
Ma la mia mente si ribella al tuo tradimento!
Lascia
or dunque anche i miei pensieri, perché al mio Eroe devo badare.
(Didone, ancora a terra, comincia a trascinarsi lentamente verso Cadmo)
Fedele Cadmo, limpido come le acque delle sorgenti di Tiro.
Mia spada sempre sguainata contro i miei nemici.
Coltre di spesso marmo contro la saetta della mia sventura.
Morbida piuma contro il mio pianto.
Quale
generoso Dio tha mandato a raccoglier la mia anima da terra?
Mai, io, i miei occhi, volsi su di te, mio prode Capitano.
Solerti i miei cortigiani a chieder compensi per i lor servizi.
Quanto tu restio ad esibirmi i tuoi meriti.
Ché solo
le mie rare parole hai ricevuto per moneta. Eppur
te ne sei beato.
Ché se così alto fosse stato il valore della mia moneta, avrei già costruito
non una Cartagine, ma cento altre.
Mai volsi i miei occhi su di te, mio prode Capitano.
E poche parole abbiamo scambiato.
Ché poco
stimi le troppe parole, ed in odio tieni le favelle.
Ed in disparte sempre ti sei tenuto.
Eppur i tuoi occhi han scrutato da lontano nella mia anima.
Come
laquila dei monti di Tiro, che tanto più alta sorvola
il nostro limpido mare, tanto meglio scruta
la preda e la sorprende in picchiata.
Quandessa si crede sicura sotto il filo dellacqua.
Quando
gli uomini, sulla costa e sui legni, che
pure le sono tanto più vicini,
nemmen riescono a vederla, e tanto meno possono
ghermirla.
Silenzioso
come lombra, rapido come il fulmine.
Hai complottato contro la mia mente oscurata.
Il
tuo occhio daquila ha scrutato paziente nella torbida profondità della
mia anima.
Ora, Cadmo, io mi aggrappo a te.
Come al forte tronco della nave si aggrappano i naufraghi nella tempesta.
Portami con te a riva.
Perché se Didone vi giungerà, allora trasformerà il
suo tormento in rabbia, la sua passione in
ardimento, e la sua sofferenza in orgoglio.
(Si ferma e si rivolge al cielo)
Oh Giove Supremo, ascolta la mia preghiera!
Conserva
la vita a colui che solo ebbe pietà di Didone; al prode Cadmo.
Ed
ella al tuo figlio getulo, a Re Iarba, si
concederà qual preda
di caccia36.
(Riprende
a trascinarsi verso Cadmo, ma ancora non può vederlo)
Che almeno il mio tradimento si applichi ad una nobile causa!
Lunica macchia sarebbe fatto ancor più grave
se divenisse la prima tra due.
Ma
se la seconda è punizione per la prima, allora tal giusto fio mi sarà dolce
scontar.
Generoso
Cadmo, avaro con le parole, ma eloquente
coi tuoi sguardi, la tua Regina nulla può darti.
Il
suo cuore ancor affanna per vanità, ma ella brama per renderlo gelido sepolcro, e mai più tornare
ad aprirlo.
Abbandona dunque quella meschina e volgi a fortunata Signora di Cartagine il tuo fiero sguardo.
(Si avvicina a Cadmo, ma questi chiude gli occhi. Didone ne accarezza con adorazione il volto)
Apri i tuoi occhi, Capitano.
Fallo per te.
E
poi fallo per me, che ho bisogno di te, per
vivere, e per riscattare le mie colpe».
(Cadmo si ridesta)
Cadmo: «Che
fate qui, Regina?
(Si alza, prende in braccio Didone, e la corica nel letto, medicandola di nuovo)
Per
niente e nessuno dovete più muovere.
Or vi lascio che un poco di riposo mi necessita.
Il
mio sonno sopra i Monti di Tiro sarà inquieto, ché non potrò esser
qui.
Ma
le più fidate Guardie di Cartagine veglieranno sulla loro
gran Regina.
Ed
ella veglierà su sé stessa.
Perché a
nobile cuor non si parla invano.
E
non venga Iarba a reclamar preda, giacché da banal sonno fui salvato; e non è questa
gran cosa per Giove Supremo.
E
da banal sonno mi ridestai, ché ai comuni mortali questo è ancor concesso; e lopera
divina ben merita altre imprese.
Sol
la stanchezza mha tradito, e non la spada del nemico.
E sol di riposo, e non di prodigi ho bisogno.
Ma
che venga Re Iarba col vostro invito, Regina,
se questo voi vorrete».
(Cadmo indugia. Infine le prende la mano, e la stringe tra le sue. Poi esce)
Didone: «Nobile
aquila di Tiro, torna sulle alte vette da dove
sei venuta.
Ché se ancor non andrò preda di caccia a Iarba, non per questo mi rallegro, giacché sventura e fortuna han per me lo stesso sapore, con lamor
mio partito.
Perché il mio cuore è triste.
Esso palpita invano.
E Dio bizzarro
».
(Entra Busenello. Ad un suo cenno, Didone si alza dal letto)
Didone37:
«A
meriti, a ragion non bada amore:
Egli è Dio,
fa a suo modo e non conchiude
Con
argomenti umani ».
(Busenello esce. Didone torna a coricarsi)
Scena Quarta
Cartagine. Stanza da letto di Didone. Le prime ore del giorno.
(Didone,
rimasta in scena, è coricata nel proprio letto. Si vede del
fumo dalla finestra. Entra Anna)
Anna: «Sorella mia, genuino è il
tuo ordine38 di dar fuoco alla pira da me preparata?
(Didone indugia. Poco dopo, annuisce)
Perché tanta solerzia, sorella?».
Didone: «Essa
non serve più allo scopo39».
Anna: «Non tappassiona
più il fiero Troiano che giunse profugo sui nostri lidi?».
Didone: «Nulla più mappassiona, sorella40».
Anna: «E perché ti trovo ancor nel tuo letto ad indugiar
pensierosa, quando la luce di Febo già da tempo esorta la
nostra città a
riprendere il passo?
Che
taccade, Dido?».
Didone: «Anna, sorella mia,
ascoltami: un sogno, questa notte mha
portato.
Un
uomo alto e forte, dal portamento sì saggio, un consiglio forse prezioso mha
inteso offrire.
Egli
mha consigliato di non lasciar il mio letto per tre giorni
e tre notti.
Ché una tremenda sventura mi colpirebbe se non lascoltassi.
Dunque
pensa tu a governar la nostra città, se ti preme evitarmi
tale insidia».
Anna: «Che
dici sorella?
Quale peggior sventura della partenza di
Enea, potrebbe colpirti?
E
come mai il Capitano delle tue Guardie
non è qui a scongiurarla?».
Didone: «Non
abbiamo conoscenza circa la natura dellannunciata
sventura.
Perciò dobbiamo
esser prudenti, sorella.
Ma non parlar di Cadmo, ti prego.
Nessun
deve parlarne».
Anna: «Perché tieni a questo
riserbo? Egli si è forse
macchiato di qualche colpa?
(Didone indugia)
Dunque
vuoi mostrarti indulgente?».
Didone: «Sì, è così.
Mha chiesto il tempo necessario ad incontrar la sua amata,
ed io lho
concesso.
Ma
quando il sole sarà alto sullorizzonte, vallo a
cercare ed esortalo a non lasciar più la sua Regina,
ché la sventura preannunciata potrebbe raggiungermi financo
nel mio Palazzo».
Anna: «Farò come tu mindichi,
sorella.
Ma
lasciami ben informata: si tratta forse
della nobile e mirabile Licorida?».
Didone: «Or
me lauguro per lui, ma questo non so né dirti né negarti,
Anna mia.
Ma
sia chi sia, purché egli non sia, da chi sia, distolto
dai suoi compiti».
Anna: «Non temere: sarò limpida
nellesortar
Cadmo ai suoi doveri.
E
se dovesse ancor mancarvi, allor ti darò consiglio di
nominar nuovo Capitano delle Guardie».
Didone: «Ed
io ti ascolterei.
Ora va, sorella.
Ché Cartagine ha bisogno della nostra presenza, e non può contar
sulla mia per tre giorni.
(Anna annuisce ed esce)
Va, sorella.
Lasciami sola.
Ché almen
rimango in compagnia dei miei inverecondi ricordi.
Del mio vuoto sentir.
Della mia anima morta.
Ché questi
preferisco al parlar vano.
E non parlar di Cadmo.
Neanchio
ne parlo.
Nessun ne parli.
Lasciami, sorella.
Così come
lasciata dalla vita, eppur respinta dalla morte.
Lasciami sola, sorella.
Ignara
della mia estinta vita, così come della mia abortita morte.
Ché morta
anzi tempo pur sono, e viva oltre tempo, insieme.
E non parlar di Cadmo, sorella.
Nessun ne parli.
Parlatemi
invece di colui che maffanna il cuore.
Enea
Enea
Enea
Voglio
sentir il suo nome, che è ambrosia per i miei sensi.
Voglio rimembrar la storia della sua vita, giorno per giorno41.
Conoscer
il suo presente, ad ogni passo del Sole
e cangiar dellombra42.
Voglio
sognar il suo futuro con me, istante per istante ».
(Sipario)
Atto Terzo
(in sei scene)
Scena Prima
Nave di Enea. Lungocosta cumano. Di notte.
(Palinuro è già in
scena, al timone della nave. Entra Enea,
che scruta la costa e si avvicina a Palinuro)
Enea: «Siam giunti dappresso alle coste cumane, io credo,
mio fido nocchiere».
Palinuro: «Il mare è propizio.
Perché non riposate, mio Signore? Veglierò io sulla
rotta che cassegna il Fato».
Enea: «E
sia, allora.
(In
disparte, fra sé)
Or dunque, Numi, io da voi attendo un segno!
Dove posar la mia ancora, io vi chiedo.
La mia amata sposa ho perduto43.
Così pure lottimo
padre44.
E nobile Signora ho lasciato45.
Per trarre i miei compagni fin su questi lidi.
Or dunque
dove posar l ancora io vi domando, potenti Numi dellOlimpo
».
(Enea
saddormenta. Poco dopo il suo riposo si fa tormentato ed egli si volta verso il fondo della scena. Questa si fa buia. Al tornar delle luci, pur basse, Palinuro è uscito; Enea vaga ansioso per la scena, come a cercar qualcuno; Un manichino è ora presente nellesatta posizione in cui egli poco prima dormiva; Creùsa è già in
scena, distesa a terra, in disparte, con
la veste macchiata di sangue. Entra infine Carneade)
Carneade: «La
notte porta il sonno.
Questo è fabbrica
di sogni.
E talvolta
fucina dincubi
(Con
eloquente gesto, lascia intendere che in
uno di questi, è ora trascinato
Enea)
La potente
Troia è in fiamme.
Enea cerca
lamata sposa perduta, Creùsa.
Ma ella
giace estinta
(Enea
scorge finalmente Creùsa, le si
avvicina e piange sul suo corpo esanime)
Ed ora qual
Ombra gli parla
».
(Entra
Virgilio. Al cenno del Vate, Creùsa
si alza e si rivolge ad Enea. Le abbondanti
macchie di sangue sulla veste,
lasciano intendere che ella sia morta)
Creùsa46:
«O
mio dolce consorte,
a che
s í folle affanno? A gli dèi piace
che cosí segua.
A te quinci non lece
di trasportarmi. Il gran Giove mi vieta
ch'io sia teco a provar gli affanni tuoi;
ché soffrir
lunghi esigli, arar gran mari
ti converrà pria
ch'al tuo seggio arrivi,
che fia poi ne l'Esperia, ove il tirreno
Tebro con placid'onde opimi campi
di bellicosa gente impingua e riga.
Ivi riposo e regno e regia moglie
ti si prepara. Or de la tua diletta
Creúsa, signor mio, piú non
ti doglia:
ché i Dòlopi superbi, o i Mirmidóni
non vedranno
gi à me, dardania prole,
e di Prïamo
figlia, e nuora a Venere,
né donna lor, né di
lor donne ancella:
ché la gran genitrice degli dèi
appo sé tiemmi.
Or il mio caro Iulo,
nostro comune amore, ama in mia vece;
e lui
conserva, e te consola. Addio ».
(Creùsa
esce. Entra Didone, angosciata)
Carneade: «Una sposa perduta, una nobile Signora lasciata»: così poco addietro, tu dicesti, Enea, oppur mingannno?
Dunque non
son finiti i tuoi incubi
».
(Carneade esce. Virgilio indica Didone)
Didone47:
«Ah
perfido! Celar dunque sperasti
una tal tradigione, e di nascosto
partir de la mia terra? E del mio amore,
de la
tua data f é, di quella morte
che ne
far à la sfortunata Dido,
punto non ti sovviene, e non ti cale?
Forse che non t'arrischi in mezzo al verno
tra' piú fieri
Aquiloni a l'onde esporti?
Crudele! Or che faresti, se straniere
non ti fosser le terre, ignoti i lochi
che tu procuri? E che faresti, quando
fosse ancor Troia in piede? A Troia andresti
di questi tempi? E me lasci, e me fuggi?
Deh! per queste mie lagrime, per quello
che tu
della tua f é pegno mi desti
(poiché a
Dido infelice altro non resta
che a
s é tolto non aggia), per lo nostro
marital nodo, per l'imprese nozze,
per quanti ti fei mai, se mai ti fei
commodo o grazia alcuna, o s'alcun dolce
avesti unqua da me; ti priego ch'abbi
pietà del
dolor mio, de la ruina
che di
ci ò m'avverrebbe; e (se piú luogo
han le preci con te) che tu del tutto
lasci questo pensiero. Io per te sono
in odio a Libia tutta, a' suoi tiranni,
a' miei Tiri, a me stessa. Or come in preda
solo a morte mi lasci, ospite mio?
ch'ospite sol mi resta di chiamarti,
di marito
che m'eri. E perch é deggio,
lassa,
viver io pi ú? Per veder forse
che 'l
mio fratel Pigmal ïon distrugga
queste mie mura, o 'l tuo rivale Iarba
in servitú m'adduca?
Almeno avanti
la tua partita avess'io fatto acquisto
d'un pargoletto Enea che per le sale
mi scherzasse d'intorno, e solo il volto,
e non altro, di te sembianza avesse;
ch'esser non mi parrebbe abbandonata,
né delusa del tutto».
(Didone esce, sconvolta.
Anche Virgilio esce)
Carneade: «Eppur la notte è ancor
restia a lasciarti, Enea.
Or stai scorrendo i lidi cumani.
E questi tispirano una sol cosa: il mefitico
Averno48.
Ed esso conduce la tua mente agli Inferi49.
E solo la Sibilla di questi luoghi50, può farti da guida laggiù
».
(Entra Deifobe)
Deifobe: «Seguimi, or dunque, Enea di Troia, se è questo
quello che tu cerchi
Perché io
so chi tu cerchi
(La
Sibilla conduce Enea sulla scena. Ad un
tratto le
luci di questa, da neutre, si fanno grigie,
pur rimanendo di pari, bassa, intensità. Esse indicano lingresso nellAntinferno,
sorta di Purgatorio pagano)
Questo è lAntinferno, Enea dAnchise
e Venere.
Qui ti è concesso
visitare le Ombre dei morti anzi tempo.
O per destino della propria natura, morti anzi tempo, ancor lattanti.
O per mano
daltri, morti anzi tempo; giustiziati per falsa accusa, o periti
in guerra.
O per mano propria, morti anzi tempo, suicidi.
Hai qualcuno
da visitare qui?».
Enea: «Mostrami dove sospirano
le Ombre dei suicidi, oh Sibilla».
Deifobe: «Allora
segui il mio passo, Enea».
(Entrano
alcune Ombre. Ciascuna desse, una per volta, si trafigge con un pugnale, allinfinito. Una di queste, girata di spalle, sia rispetto ad Enea che rispetto al pubblico, ha elegante fisionomia femminile e lunghi capelli biondi. Enea le si avvicina e le sfiora i capelli. LOmbra
si volta verso di lui, mostrando aspetto
anonimo. Tutte le Ombre cominciano a girare
intorno ad Enea, che le guarda cupo)
Enea: «Possiamo andare oltre, gran Sacerdotessa».
Deifobe: «Non
hai che da seguirmi, Enea di Troia.
(Le
Ombre escono. Le luci di scena si fanno
rosse.
Esse indicano lapprossimarsi
al Tartaro, sorta di Inferno pagano)
Questo il
Tartaro. Qui scontano il pesante fio delle
loro colpe, innumerevoli uomini, per innumerevoli
delitti ed ogni sorta d essi.
Qui vi sono
quelli che tradirono la Patria, coloro
che odiarono i fratelli, quelli che fecero leggi
per denaro, coloro che
».
Enea: «Portami da
quelli che fecero leggi per denaro».
Deifobe: «Eccoli:
son questi
».
(Entrano
alcune Ombre. Tutte hanno teste coronate.
Tutte portano sulle proprie spalle, un pesante
fardello di monete doro, che le obbliga a piegarsi in avanti, facendone figure gobbe. Una di queste, girata di spalle, sia rispetto ad Enea che rispetto al pubblico, ha fisionomia femminile e lunghi capelli biondi. Enea le si avvicina e le sfiora i capelli. LOmbra si volta verso di lui, mostrando aspetto anonimo. Tutte le Ombre cominciano a girare intorno ad Enea, che le guarda sprezzante. Due di esse si scontrano accidentalmente, ed alcune monete doro dei rispettivi fardelli cadono in terra, tintinnando. Enea le raccoglie, le osserva brevemente, e le distribuisce tra i più vicini
fardelli)
Enea: «Ho finito con loro, Sibilla di Cuma».
Deifobe: «Allora
continua a seguirmi, Enea.
(Le
Ombre escono. Le luci di scena si fanno
celesti,
e molto più intense. Esse indicano lingresso
nei Campi Elisi, sorta di Paradiso pagano)
Ora sei
giunto nei Campi Elisi, dove le Ombre dei Giusti
dimorano serene
(Entrano alcune Ombre. Tutte vestono di bianco. Enea le osserva rapidamente. Nessuna di esse presenta le sembianze di Didone, ovvero elegante fisionomia femminile e lunghi capelli biondi. Enea appare perplesso. Le Ombre escono)
« Non
hai dunque trovato chi cercavi, Eroe di Troia?
Forse perché lOmbra
che tu cerchi, vaga ancora sulla faccia della
terra e non sotto di essa.
E forse
non sai neppur dovessa è destinata.
Se essa
dovrà passare per lAntinferno, o se il Tartaro
ne sarà la degna sede, o piuttosto i Campi Elisi la
meritata dimora».
Enea: «Sei nel giusto, Sacerdotessa
dApollo.
Tu hai gran conoscenza di tutte le cose.
Ed io non ho trovato chi cercavo.
Né più ne
intuisco il destino, o ne posso presagire la
fatal sede.
Ma or conducimi
dal mio pio padre, ch é qui nellEliso ha fissa dimora ed egli mi farà conoscere il mio Fato».
(La
Sibilla indica qualcuno fuori scena. Entra
lOmbra di Anchise, vestita
di bianco. Entra anche Virgilio. Al cenno
del Vate, Anchise si rivolge al figlio Enea)
Anchise51:
«Or qui ti mostrerò,
quanta
sar à ne' secoli futuri
la gloria nostra; quanti e quai nepoti
de la dardania prole a nascer hanno;
e quante del mio sangue anime illustri
sorgeranno in Italia. Indi a te conte
le tue fortune e i tuoi fati saranno.
Vedi colà quel
giovinetto ardito
che su
quell'asta pura il braccio appoggia? ».
(Improvvisamente
le luci di scena tornano neutre. Deifobe
e Anchise si fanno amorfi
ed escono. Anche Virgilio esce,
ma con atteggiamento normale, giacché egli non fa parte del sogno di Enea. LEroe si sostituisce al proprio manichino rimasto in disparte sulla scena, e subito dopo si risveglia allimprovviso,
distintamente angustiato. Entra Carneade)
Carneade: «Il tuo viaggio è terminato,
Enea.
Lalba del nuovo giorno ti consegnerà la
verde foce del Tevere52.
Or il tuo
ardimento troverà gran causa degna desso.
Questo il tuo miglior terreno.
Con laiuto
del Fato o contro di esso, gran Guerriero
ed Eroe, tu permani, Enea di Troia.
Or epiche
battaglie tattendono.
Dopo discreta ritirata.
E clamor
darmi taccompagnerà.
Dopo mortale silenzio.
Ma non scordar Enea, che facile stratagemma son le armi e le battaglie.
Per risolver dissidi col dissolver del dissidente.
Ma alla pace dovrai pur giungere.
E sarai
Re, per mezzo dessa.
E porrai leggi e precetti.
Or non facili stratagemmi son questi.
E i dissidi avran da comporsi senza dissolver il dissidente.
Ché Re
di Uomini, sarai.
Dissidenti e consenzienti.
Giusti ed iniqui.
E lumanità dovrai conoscer e umanità posseder.
E metter essa innanzi alle armi, dovrai.
Ma forse vaneggio.
Sì:
che dico?
Tu segui il Fato, ed io non ne conosco i disegni.
Perciò a
chi giovano le mie favelle? Se a Giove esse non
aggradano?
Eppur il
Tartaro è già affollato di Re e Regine, e presto verran
anche teste non coronate.
Or dunque
mi ritiro a seguir gli eventi
».
(Carneade
esce da una parte. Enea, rimasto pensieroso in
disparte, esce dallaltra)
Scena Seconda
Cartagine. Reggia di Didone.
(Entra Carneade)
Carneade: «Or linverno
volge al termine.
Il tempo è trascorso
rapido, e lento continua a scorrere.
Esso lenisce,
ma non cura per sé stesso.
La tempesta è passata, ma il mar non sè ancor
acquetato.
E la rassegnazione
nei confronti di un evento, è cosa diversa dalla comprensione
dello stesso.
Eppur la
costruzione di Cartagine è ripresa.
Mirabile,
così come la riconobbero gli esuli da Troia, sbandati sulle coste dAfrica.
Perché la Fama disonesta, se veloce salza, allor sì rapida sabbassa.
La Regina tiene di nuovo in pugno la sua corte.
Ed i superbi
pretendenti delle città e terre vicine si fan prudenti, perché Cartagine cresce ed espande i propri commerci, mentre le lor modeste città e i vieppiù modesti
accampamenti, son fermi.
Linverno
volge al termine.
Ma Didone non parla ancor con nessuno.
E quel che
più detesta è che gli altri non se ne avvedano.
Né la sorella Anna, né i
tanti cortigiani.
Favellare
non è la medesima cosa che parlare, infatti.
Eccoli
Ascoltiamoli
dunque
(Sulla scena scorrono Didone, Anna, Licorida, e cortigiani vari. Tutti ciarlano muti)
Eppur qualcosa
han favellato
Ma cosa?
Didone non parla con nessuno.
Giacché favellare non è la
medesima cosa che parlare.
Il primo,
il favellare, è per coloro che non possono capirla.
Ma dovè Cadmo?
(Entra Cadmo. Didone lo guarda e lui si volta. Cadmo guarda la Regina, e lei si volta)
Il secondo,
il parlare, è esercizio vano se rivolto a colui che non può non capirla: ladorato
Cadmo, fraterno amico suo.
Il Capitano si tiene in disparte.
Egli non ama la corte, e la corte non ama lui.
Didone lo insegue con amor fraterno, ma egli non cede al suo nuovo ruolo e rimane il Capitano delle Guardie reali di Cartagine.
Anna intanto
freme per assicurar nuovo sposo alla sorella,
ché ancora ignara
rimane della sua sventura, ed il dubbio non la
sfiora.
(Entra Iarba, e accompagnato da Anna, si avvicina a Didone; ma questa si volta)
Or prende le parti di Re Iarba, invitandolo a corte.
Ma la Regina
non lo riceve ».
(Escono tutti men che Didone. Entra Licorida)
Licorida: «Mia Regina, perdonate la mia visita».
Didone: «Cosa
dici, nobile Licorida? La tua visita mi è ben
gradita.
Ma il tuo
animo mappare turbato, non è così?».
Licorida: «Sì, è così.
E ormai da molto infatti che il nobile Cadmo si rifiuta
di vedermi, ed io ne soffro grandemente ».
Didone: «Che
cosa è avvenuto?
Parla a
tuo giudizio, Licorida».
Licorida: «Egli è invaghito
di altra donna.
Ne è ben
padrone, certo.
Se non fosse
che tal Signora è già in sposa a gran Nobile
di Cartagine, mia Regina».
Didone: «Dunque,
che prove porti a riguardo?
Ché le tue sono accuse gravi per il Capitano delle
mie Guardie ».
Licorida: «Io non possiedo prove;
e se le avessi, per lamor che gli serbo, non le invocherei
contro di lui ».
Didone: «Chiedi a me quindi di
intervenire? ».
Licorida: «Se posso osar chiederlo,
sì.
Se il vostro
intervento non servirà a riportarlo da me, eviterà certo che il disonore e lo scandalo si abbattano sulla vostra Corona, perché tutti sanno a Cartagine che egli è il
vostro protetto.
Che quando di lui si parla aspro, voi
vi voltate per non ascoltare.
Che quando di lui si parla dolce, voi
vi voltate per ascoltare meglio.
Che quando lui entra in scena, i vostri
occhi son solerti nel raggiungerlo.
Che quando lui esce dalla scena, i vostri
occhi indugiano nel lasciarlo.
E restia vi mostrate ora, quanto bendisposta
un tempo, a presentarlo a me o ad altre
nobildonne di Cartagine.
Or vi lascio, Regina.
A voi grata
per ci ò che farete».
(Licorida esce)
Didone: «Licorida,
purifica le tue labbra prima di parlar di Cadmo.
Le tue parole
non serbano amore né per lui, né per me.
Ma esse son a me preziose.
Giacché le tue parole son lo specchio dellanima
mia.
E così evidente lamor
che porto a mio fratello?
E tanto scandalo questo comporta?
Eppur non gli son grata per la vita mia, ma piuttosto lo biasimo per averla salvata.
E lunico debito che ho contratto con lui, è per
quel pallido sole che egli ha portato a mitigare
il mio perenne inverno.
O parlo
così perché son meschina?
Perché ho timore che accada ciò che
fingo di desiderare?
O perché ho inconfessabile speranza di accettare ciò che
fingo di rifuggire?
Ma io non
tho promesso nulla, splendida Licorida.
Giacché nulla ti manca per tentar limpresa.
E a Cadmo devi rivolgere le tue preghiere.
E se credi che egli non sia per me un fratello, allora credilo pure.
Chi sono
io per smentirti? ».
(Entra Carneade)
Carneade: «E tornata
forte, Didone.
Non scuote le sue fondamenta, il sospirar sibilante della calunnia.
Governa con saggezza, Didone.
Ed il popolo di Cartagine la ama ancora.
Vorrebbe far domande al suo cuore, Didone.
Sulla timida luce che lo accarezza.
Ma sarresta.
Sarresta, al pensier del suo dolce sposo».
(Escono)
precedente -- seguente
|